Arrivare alla Scala è stato tutt’uno con incontrare Lorenza: in nessun altro teatro in cui mi sia capitato di lavorare c’era una figura così centrale per affrontare uno spettacolo. Lorenza era il baricentro della regia, con una presa fondamentale sul coro e sulla parte tecnica. Tutte le produzioni che ho fatto, a partire da Pagliacci e Cavalleria rusticana, le devo alla sua forza straordinaria: è una cosa che va riconosciuta. Ma oltre l’aspetto più tecnico e professionale si era stabilita tra noi una grande intesa sul piano artistico. Sentivo che mi capiva benissimo, in ogni sfumatura: mi incoraggiava, mi spronava, era davvero una collaboratrice fondamentale, capace di quella pieghevolezza dell’ingegno che le consentiva di rapportarsi ai vari stili dei registi con cui lavorava. Ho sempre avuto la sensazione che il modo in cui mettevo in scena le opere le corrispondesse, che si divertisse. La produzione più complessa che abbiamo realizzato insieme è stata senza dubbio Chovanšcina: ricordo che nel periodo delle prove, quando arrivavo a casa la sera, per almeno quaranta minuti non potevo nemmeno parlare da quanto ero stremato. Senza la sua tenacia e forza d’animo non so se saremmo riusciti a mettere in scena l’opera in quel modo.
For me, arriving at La Scala was all one with meeting Lorenza: in no other theatre where I have worked have I found a figure so central to the staging. Lorenza was the centre of gravity of everything, with a fundamental grip on the choir and on the technical part. All the productions I have done [at La Scala], starting from Pagliacci and Cavalleria rusticana, I owe to her extraordinary strength: it’s something that must be recognized. But beyond the more technical and professional aspect, we also established an artistic empathy. I felt that she understood me so well, in every nuance: she would encouraged me and push me forward, she was really a fundamental collaborator, capable of that flexibility of the intellect that allowed her to connect to all the various styles of the directors with whom she worked. I always had the feeling that the way I staged operas resonated with her, that she was having fun. The most complex production we made together was undoubtedly Chovanšcina [Kovancina]: I remember that during the rehearsal period, when I would arrive home in the evening, for at least forty minutes I was so exhausted I couldn’t even speak. Without Lorenza’s tenacity and resilience I don’t know if we would have been able to stage that opera the way we did.